LB5P_080_Progettazione e sviluppo di un biosensore per la quantificazione dell’anidride carbonica nel torrente circolatorio.
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Progetto proposto da Gianmarco Irienti
Un biosensore può essere definito come un dispositivo analitico contenente un sistema biologico reattivo in intimo contatto con un trasduttore di segnale. Il sistema biologico in questione è un microambiente contenete l’enzima e precise specie reattive. Questi interagiscono con il substrato che si vuole misurare e sono i responsabili della specificità del sensore. Il segnale che viene fuori dalla interazione di questi sistemi biologici con l’analita è un elemento elettroattivo ed allora il segnale sarà di tipo elettrodico.
Il device è composto da più parti intercambiabili, in cui solo il lettore rimane permanentemente. Il bio-sensore vero e proprio risiede nelle linguette che però devono essere cambiate ad ogni utilizzo, poiché il dispositivo va in saturazione, cioè non conduce più elettroni. Queste si interfacciano con il lettore che ha la funzione di registrare un ddp (differenza di potenziale) costante e specifica quando gli enzimi sono a riposo, dopo deposito della goccia di sangue il voltaggio al drain aumenterà e quindi diminuisce la ddp (da leggere sotto).
Questi micro-sistemi li possiamo immaginare come delle sottili strisce ai cui estremi sono posti due elettrodi in metallo (generalmente oro) con spessori micrometrici e al centro della linguetta (tra i due elettrodi) un microambiente dove incorporare gli enzimi e le specie elettronaffini per consentire tutti i passaggi spontanei di ossido-riduzione.
I due elettrodi esterni sono posti a due voltaggi differenti, e in particolar modo il source è tenuto a terra (voltaggio zero) mentre il drain è ha un voltaggio negativo; questo si rende necessario per creare un flusso di elettroni unidirezionale. I due elettrodi sono connessi da una sottile striscia di silicio, sopra di essa viene poggiato il microambiente dove avverranno le reazioni. Quest’ultimo è formato da silanoli condensati con un gruppo R funzionale, cioè quello che interagisce con l’enzima e lo stabilizza sulla linguetta.
Per creare una separazione di carica permissiva al flusso di elettroni, sotto allo strato di silicio si posiziona un dielettrico, per questo si possono usare svariati materiali come il PMMA, PVP o PHEMA. Quest’ultimo strato serve per creare una separazione di carica tra il silicio e il dielettrico, nel nostro caso visto che bisogna trasportare elettroni (cioè cariche negative) cerchiamo di creare, nello strato ove poggiano gli elettrodi, cariche positive. Ciò si ottiene posizionando un ultimo strato sotto il dielettrico chiamato gate al quale si attribuisce un voltaggio positivo. Questo permette di attirare cariche negative nello strato dielettrico e come già detto prima cariche positive nello strato siliceo.
Ora il dispositivo è pronto all’uso, da notare però che prima di ogni prova si deve tarare lo strumento, una operazione facile che qualsiasi operatore è in grado di fare. Questo serve per fissare uno zero, e solo successivamente si può poggiare la goccia e la soluzione di reazione (contenente tutte le specie reattive, tranne l’enzima).
Osservando la reazione nella prima pagina uno degli elementi essenziali di cui si intuisce l’importanza è l’enzima anidrasi carbonica, questo infatti converte la CO2 e H2O in H2CO3 riducendo il substrato FAD a FADH2 . Successivamente il substrato FADH2 per tornare attivo si deve riossidare a FAD, questo è possibile grazie ad una spezie che si riduce acquisendo gli elettroni liberati dal processo di ossido-riduzione. Come ultima reazione la specie Med.Rid torna allo stato ossidato liberando due elettroni. Questi ultimi andranno a variare il voltaggio al drain.